Come si è venuto a sapere della loro esistenza?
Furono scoperti grazie a degli esperimenti di ibridazione di mRNA-DNA:
La loro scoperta è avvenuta nel 1978 dal gruppo di ricerca di Philip Leder che stava studiando il gene della ß-globina in cellule di topo in coltura.
Questo gene codifica per un peptide di 146 aminoacidi che costituisce una parte della molecola dell'emoglobina. Prima di questa scoperta gli scienziati erano convinti che la sequenza di un gene fosse completamente colineare con la sequenza degli aminoacidi della proteina codificata. La dimostrazione dell'esistenza degli introni fu una scoperta che cambiò completamente la visione della struttura dei geni e del genoma degli organismi. I ricercatori hanno isolato il pre-mRNa di 1,5 Kb, che contiene il cappuccio al 5' e la coda di poly(A) al 3', dimostrando che era co-lineare con il gene che lo codifica, mentre l'mRNA di 0,7 Kb non lo era. Conclusero quindi che nel gene era presente un introne di 800bp. La trascrizione del gene produce un pre-mRNA (1,5Kb) che contiene sequenze introniche ed esoniche e durante il processo di splicing l'introne viene exciso e gli esoni adiacenti legati insieme per formare un mRNA maturo. Successivamente venne dimostrato che il gene della ß-globina contiene due introni e che il secondo più piccolo non venne individuato nel corso delle prime ricerche.
Non si è ancora certi dell’origine di tutti gli introni, ma si portano tre spiegazioni che tuttavia non soddisfano l’intera massa:
- alcuni introni sono “residui fossili” di virus (retrovirus) che hanno lasciato il loro patrimonio inserito nelle cellule ospiti, le quali sono riuscite a evitarne la successiva trascrizione, rendendoli inattivi. La riattivazione di alcuni di questi tratti virali, può indurre gravi malattie genetiche.
- alcuni sono la rimanenza di esoni che, a causa di gravi mutazioni, sono stati silenziati “volontariamente” dalla cellula.
- molti possono essere il risultato del processo di “exon shuffling”, tale teoria ipotizza che gli introni permettano l'assemblaggio delle diverse unità funzionali di una proteina in nuove combinazioni evolutivamente vantaggiose (ad esempio quando un certo genoma ha "imparato" la sequenza che codifica un sito ATPasico, lo inserisce in altri geni che codificano proteine che necessitano di idrolizzare ATP per la loro funzione)
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